martedì 5 ottobre 2010

Capitolo 7°


Saffo


Nuotare è la decisione giusta, un contatto morbido con l'acqua salata, avvolgente come l'amore di tempi dimenticati; saggiare l'inusitata consapevolezza percependo unicamente il blu. Seduto sulla panchina della spiaggia, galleggia nelle nuove sensazioni, un corpo sospeso nel fluido dei suoi pensieri. Al lento ritmo dello sciabordio si pasce mentre le mani sono alla ricerca di un incontro. La fine sabbia scorre fra le dita, granello per granello a stimolare nuova sensibilità. Sente le rocce delle convinzioni sgretolarsi nel petto e rotolare. Si dividono, si frantumano, si polverizzano diventando fini come granelli, sprigionando un flusso costante di reciproche risposte, di sedimenti incessantemente smossi, rivoltati, sovrapposti. Lui clessidra di se stesso. Baratto di posizioni, un movimento bidirezionale attraverso il quale i due emisferi s’intersecano e si confrontano scambiando - e cambiando - forme, funzioni e immagini. Un baratto generato da una mancanza, un vuoto da colmare con le fascinazioni di Lei, fatto di equivoci, di metamorfiche visioni, di sentimenti adulteri, ma allo stesso tempo un canale indispensabile di apertura, rivitalizzazione e comunicazione.

Particelle vorticanti che si uniscono all'aria creando forme nuove ricadono come candide pomici sull'acqua. Le bianche pietre, fenici della sua cognizione lo circondano come spettatori di un teatro inesistente. Coglie una presenza. Sente un effetto anodino per il suo corpo stanco. Finalmente libero dal dolore! L'acqua riflette il cielo, limpida nella sua semplice essenza. Tutto intorno è immobile. Davanti agli occhi si forma una spirale d’immagini, fotogrammi rallentati. Una voce narra quadri con soave distacco, un cantore lontano. Sente quella presenza. Lui non può chiudersi a questa visione, ma nemmeno
aprirsi, il resto dello scenario cambia colore assecondando i capricci delle reazioni procurategli dai gangli. Fanno parte di vita vissuta, da tutti e da nessuno, seguono una logica sconosciuta. Il protagonista di quei flashback è sempre lo stesso a età differenti, senza ordine cronologico. Il suo volto degrada lentamente nell'opalescenza. Occhi neri e intensi, fronte alta e accigliata, uno sguardo familiare.

Dopo un indefinito trascorrere di attimi, la visione cambia registro e davanti a lui compaiono scene erotiche dal sapore retrò, anni '50, sbiadite e leggermente accelerate nei movimenti. Le protagoniste sono visibilmente impacciate davanti allo schermo, o almeno, a lui pare di percepire un certo imbarazzo, l’imbarazzo che lo condizionerebbe se fosse donna e se fosse in quella posizione, nella sottomissione più totale. Questa introspezione lo turba ma al contempo lo affascina. Il dubbio si fa certezza, l’imbarazzo è il suo! Le scene diventano sempre più aride di mistero. Semplici tocchi per nulla ingenui, ne è svelata l’ambiguità, lui fautore e schiavo dello stesso gesto. Un fremito prima distante poi dirompente lo disarciona dall'autocontrollo.
Il vaneggiare delle elucubrazioni dissolve lasciando
Lei
padrona della sua mente; metamorfosi alla quale nessun uomo può sfuggire: ritorna dolore.

L'inquieto esercito di domande forza la linea posta al confine della sua mente razionale per invadere il campo della follia. Il sangue inizia a marciare nelle sue tempie. Un lieve momento di esitazione, quasi a credere di non averne bisogno. La necessità si fa superiore all'inibizione scatenando un vortice appena si rompono gli argini. Così, dall'alto della sua costruzione mentale, quelle domande iniziano a scorrere dal ventre per risalire come afflati alla bocca, al cospetto di lei, così trascendente in quella torcia di shantung porpora che la avvolge creando spigoli inconsapevoli, squarciata a v dai piedi fino all'ombelico, finalmente svelata dalla sua mente. Vederla o immaginarla tenere tra le mani, all'altezza del seno, una sfera. Lucente e nera, un'ossidiana perfettamente levigata, un buco nero estremamente denso la cui attrazione dimostra suprema forza, inglobando il tutto nella sua superficie. In essa ruotano senza ordine i volti degli uomini che hanno popolato i racconti. In ognuno di loro si rispecchia e si vede svanire assorbito dal vetro vulcanico. E' il momento, il dialogo inizia come una partita a scacchi. Lui muove il pedone bianco, Lei è padrona e icona del nero.

“Sei vera? Esisti?”

“E tu esisti?”

“Non capovolgere la domanda, è troppo tempo che mi perseguiti, ho il diritto di saperlo.”

“La persecuzione la porti dentro, cerchi di riversare in me la condizione che t’incatena al passato, ma non è così che potrai espiarla.”

“Tu mi hai indotto a fare quello di cui ancora sono lordato.”

“Credi possibile che righe graffiate su brandelli di carta possano guidarti alla ricerca di eventi abbandonati in antri remoti? Leggendo qualche pagina, con le quali il caso si è divertito a giocare hai fatto di me il tuo capro espiatorio e come ogni altra persona non vuoi guardare l’ombra che proietti! Nella tua ombra convivono voglie represse e peccati insabbiati. Ognuno di noi calpesta quotidianamente la propria parte oscura senza potersene separare, la distanza dal luogo comune la rende più o meno vasta ma è senza dubbio una questione di prospettive.”

“Leggendo di te vedo tutto il male, ergo la tua ombra ti precede.”

“Come siete vanitosi voi uomini. Cos’è il male? Cosa ne sai della sofferenza? Del mio dolore? Pochi dettagli ti hanno reso un giudice edotto della mia vita? Un carnefice complice dei miei delitti? Troppo facile... ”

“Sei tu che stai facendo di me carne da macello. Gli istinti che avevo sedato con cura sono tornati prepotenti a causa tua.”.

“Non credere a questo! Non permettere a te stesso di proiettare sulle mie parole le tue fobie. Sapevi che lasciando quest’isola avresti portato con te il marchio della tua colpa. Io non sono la tua Freyja. Non è la mia veste! Solo tu puoi fare i conti con la seconda parte della tua anima.”

“Io voglio il tuo corpo, voglio la tua parte reale, voglio possederti.”

“Illuso! Non possiedi neppure te stesso. Non hai avuto il potere di scacciare dalla tua anima l’angoscia figlia dei tuoi atti! Non hai la capacità di reggere il confronto con il tuo stesso sangue e pretendi di possedere me?”

"Scusi signore"

Dissolta, sparita!

"Scusi signore, si sente bene?"

Una mano esile lo scuote gentilmente. Una ragazza dagli occhi nerissimi, come costruiti con la stessa ossidiana che Lei portava fra le mani, lo fissa con aria interrogativa.

"Mi scusi ma è oltre un'ora che la vedo immobile su questa panchina fissare nel vuoto, ho avuto paura che non si sentisse bene."

La ragazza alla mancanza di risposta si sente in imbarazzo, ma finalmente lui le sorride e questo permette anche alla sua bocca di disegnare un sorriso su quel volto limpido.

Niente di più lontano dall'immagine della visione poteva pararsi di fronte a lui. Un delizioso frutto della sua terra. Calda di colori, profonda di sguardi, di antiche fattezze.

“Stavo sognando!”

“La osservavo dal balcone a mi chiedevo cosa potesse catturare tanto un uomo da permettergli di stare immobile sulla spiaggia con questo sole, mi dispiace averla disturbata!”

“Ti prego non darmi del lei, mi fai sentire vecchissimo!”

L’imbarazzo che invade la ragazza è palpabile.

“Ti offro qualcosa al bar, sei stata gentile e hai evitato che mi prendessi un’insolazione.”

“No la ringrazio.”

“Avevamo detto che non mi davi del lei! Come ti chiami?”

“Iris”

“Come il fiore.”

“No, mio padre intendeva come l’arcobaleno, nella versione greca, era un insegnante di greco.”

“Era?”

“Si è morto tempo fa, io ero piccola. Si tratta di uno degli ultimi uomini che si è portato via la cava.”

“Un insegnante in cava? Anche mio fratello ha lavorato in cava.”

“Lei... tu allora sei di Lipari, mi sembravi un turista sperso!”

“Sono nato qui, esattamente dietro quel vicolo!”.

Indicando dietro la linea delle prime case affacciate sul porto, vede la propria mano tremare debolmente. Ancora scosso dal modo in cui è stato ingannato dalla propria mente.

Uno scatto, la chiusura del pugno come a strappare la sovrapposizione dell’orizzonte ai ricordi, un velo da squarciare.

“Mai io abito lì!”

Da lontano irrompe un grido, un timbro fastidiosamente nasale ripete più volte alla ragazza di rientrare in casa per alcune non ben definite mansioni.

“Come puoi sentire mi aspettano trepidanti, sono tutti piuttosto agitati oggi, c’è un matrimonio in famiglia. E’ stato un piacere conoscerti... ”

Senza attendere una risposta, la ragazza si volta di scatto e come agli ordini di un derviscio rotante la cascata di capelli corvini si apre a corolla. Ondeggiando ad ogni passo rapisce la sua attenzione fino a quando le case la nascondono alla sua vista.

Lui resta immobile, senza accennare alcuna reazione. Il nulla ronzante che incombe dopo il frastuono va gustato finché dura. “Non resta altro che andare” pensa mentre i rumori di una giornata qualsiasi ritornano a essere percepiti dalle sue orecchie.

Non ha nessuna intenzione di portare a termine i progetti che si era prefissato, la vecchia casa di famiglia lo aspetta da tanti anni, un giorno in più non cambierà nulla. Deve assolutamente tornare padrone dei suoi pensieri. Non vuole permettere al suo tempo di trasformarsi in chimera. Ha lavorato duramente per arrivare a quel punto senza servirsi di sogni né fantasie. Esiste soltanto quel reale torbo che aspetta di essere svelato. Lei è una donna e come tutte le donne non sarà altro che un suo diletto. Il primo passo verso quell’obiettivo è trovarla, sapendo di non avere altra possibilità che il successo. Quasi di corsa risale via Garibaldi fino al corso e da lì al porto. Un taxi e qualche minuto per arrivare alla residenza. Il serioso proprietario si ricordava della donna, era rimasta oltre un mese, sempre da sola. Lasciò l’alloggio perché aveva deciso di trasferirsi su un’altra isola ma non sapeva quale.
Sul nome e le generalità della donna si mostra irremovibile e nemmeno su dettagli minori si lascia sfuggire alcunché. Visto il piglio professionale che sta assumendo la discussione, decide di non insistere, avrebbe provato più tardi con qualche assistente che non fosse sulla difensiva, anche perché nel frattempo il taxi era giunto alla residenza. Ora si tratta di decidere se rivelare o no l’esistenza dei fogli ritrovati per avere accesso a qualche informazione. Il rischio che siano sottratti per essere restituiti è troppo grande e decide di non dire nulla. Sale nelle sue stanze, riprende i racconti e li analizza. Non ci sono accenni al suo aspetto fisico, deve per forza finire la lettura. Si sente come prigioniero fra quelle mura. Il cervello chiede spazio, come se la nuova apertura mentale pretendesse una dilatazione della calotta cranica per sfogare tutto il proprio potenziale. La sacca gettata sulla sedia scatena l’idea.

Via da quel luogo, via da ricordi sbiaditi dal tempo. Tutte le anticaglie vanno riposte con cura in qualche grotta inaccessibile. Deve leggere ogni parola e deve farlo in pace. “Sicuramente al porto ci sono i vecchi pescatori che noleggiano le barche!”
Esattamente quello che ci vuole, una barca, la sua vecchia via di fuga e fonte di assoluta tranquillità. Al secondo squillo risponde l’autista che nella mattinata lo aveva accompagnato e dopo pochi minuti già lo aspetta in strada. Lui ha riempito la sacca con i fogli, un cambio e accessori da toeletta. Sicuramente non sarebbe tornato per la notte e l’olezzo da Indiana Jones non gli calza più da anni. Ritorna così a Marina Corta, ricorda di avere visto nella piazza un noleggio. Sceglie un Open 495, un cinque metri gli è più che sufficiente.
Compra un po’ di frutta da una bancarella e nella borsa termica che gli ha fornito il noleggiatore, getta un po’ di bottiglie di quello che gli capita dal frigo di un bar. Decide anche per due teli da bagno e un ridicolo costume hawaiano. Si concede un caffè meravigliosamente profumato, nero e bollente; poi parte. Si sente un bimbo che bigia scuola. Si è impossessato di lui un entusiasmo adolescenziale. Non era nei suoi piani perdere tanto tempo sull’isola. “Liquidare i beni di famiglia e rientro.” aveva ripetuto continuamente durante il viaggio di andata. Ora l’idea di prendersi del tempo per sé e soprattutto tornare ad avere un rapporto diretto col mare lo elettrizza. Poche manovre e va a cercare una scogliera libera e un po’ di pace. Buttata l’ancora nella prima caletta, libera da intrusi e tirato su il tendalino parasole, s’impadronisce della cuscineria. Via i vestiti.
La tentazione di restare completamente nudo è forte ma ha visto troppe barche e barchette in giro. Infila i ridicoli calzoni con hibiscus azzurro cielo su fondo bianco. Non riesce a trattenere un sorriso di auto derisione nel vedersi. Vorrebbe fare un tuffo come ai vecchi tempi ma dalla sacca ammicca un angolo di carta e calamitato da quei pochi centimetri, prende una decisione diversa. Un minuto per addentare una pesca fresca e finalmente si allunga a prendere la sacca e dal plico ne seleziona alcuni con la dicitura “Saffo”. Comincia a leggere.


La pelle mi piace, sono deliziata se me la toccano. Lo sfioramento mi trasforma e mi da una sensibilità illuminante per l’anima. La mia è sottilissima, ha sempre avuto il compito di decidere chi mi piacesse. Derma con derma, contatto rivelatore della possibilità di coinvolgimento totale o arido incontro fisico. Chiave per entrare nell’antro più remoto della mia intimità. Scontrarci nude fu quasi un obbligo. Nel privè buio dove mi aveva portato l’ennesimo della lista, c’erano altre persone, ma alle prese con l’esplorazione del suo corpo non avevo dato peso e attenzione alla composizione della piccola platea. Il micro tubino che indossavo in lattex senza intimo sotto, aveva già dato i frutti desiderati. Pochi sguardi al pezzo di carne che avevo scelto confermavano le mie ipotesi, non era altro che un gran bel pezzo di carne ed io cercavo giusto quello. Il contatto fu leggero. Quasi impercettibile. Non lo avrei neppure sentito se lui non avesse cominciato a fissare qualcosa oltre la mia spalla. La prima reazione fu di sdegno, non ti permetto di distrarti mentre prendo piacere. Poi il tocco! Le dita sottili, all’interno dei capelli, sul collo, La reazione fu istintiva e immediata, arcuando la schiena chiusi gli occhi, quello è sempre stato il mio punto debole. Quelle dita lo stavano sfiorando con tale lentezza e leggerezza che dimenticai ogni cosa. Lui si accorse della nuova fase che l’eccitazione aveva assunto e continuò il gioco godendone i frutti. Aprendo gli occhi vidi le sue mani sul mio collo formare con le braccia una linea che guidava lo sguardo direttamente al seno. I polpastrelli continuavano la ricerca di ogni recettore del mio collo. Non m’importa chi sia. Mi piace. Non voglio che smetta. La carezza dei capelli mi annunciava che si stava chinando. La bocca entrò nella mia con precisione, senza esitazione, una leggera pressione alla nuca ha fornito l’esatto input ad accoglierla. Sentivo le mani scendere dal collo verso le scapole e scorrere oltre le ascelle. Una lentissima esplorazione. Pelle su pelle.
Da quel momento di
ventammo il centro dell’attenzione fra gli astanti, si fermarono anche le altre due coppie perchè osservare la nostra lenta e profonda scoperta, fu uno spettacolo che avrebbe riempito pensieri erotici per molto tempo. Lo ricordo come se fosse adesso, ancora mi scatena un impulso, un’onda che mi s’infrange nel cervello. La pelle liscia e calda, morbida, un setoso contatto che nessun uomo può dare. Nei giorni a venire avevo pensato a come rintracciarla, ma le visite al privè erano un mio piccolo segreto. Sicuramente modella. Riconoscevo l’incedere, la postura. A ogni casting cercavo nei book il suo volto. Nel mio lavoro la selezione delle ragazze per le sfilate mi ha sempre annoiato. Vedere l’offerta passiva di corpi privi di personalità in movimento come una massa ameba mi ha sempre innervosito. Possibile che quelle ragazze non riuscissero a capire come sulla loro pelle si giocasse una partita con poste altissime e che loro facessero solo da panno verde. Per qualche tempo fu eccitante sperare che voltando la pagina apparisse lei. Il ritmo della vita nel mondo della moda è talmente accelerato che anche quel piccolo piacere fu presto dimenticato. Altri corpi, altre pelli, altre mani sono passate. Avere carne fresca fra le lenzuola non era certo un problema. La scelta fra uomo e donna o entrambi neppure quello costituiva un problema. Trovare chi ancora mi eccitasse veramente lo era. Quella ragazza mi eccitava, stimolava, incuriosiva e distraeva. Il suo solo pensiero. Una sola volta e mi era entrata sottopelle.

Salendo in ascensore, per entrare nell’appartamento, come il solito occupo il posto nell’angolo senza neppure guardare chi è entrato con me. Sento qualcuno che scende al mio piano e una voce leggera come una folata che pronuncia il mio nome. Sapevo già che voltandomi l’avrei vista. Era la. Mi aveva trovato, lei mi ha cercato e mi ha trovato. Imbarazzo. Che strana sensazione. L’imbarazzo, che non conoscevo come sentimento, mi paralizza. Gli occhi cercano un contatto diretto ma lei me lo nega. “M’inviti a entrare?”
Muta e cercando di respirare il più lievemente possibile apro la porta e con cavalleresca e ironica riverenza la faccio entrare. Prende possesso d’ogni centimetro della mia casa semplicemente entrando. Ne diventa padrona, come ad ogni passo io divento di pasta frolla. Le mie mani stropicciano la cartella che ogni sera porto a casa con i documenti più segreti dell’ufficio.
La filodiffusione che si attiva con le luci riempie i vuoti fra noi con note languide, Tracy Chapman con “Baby Can I Hold You Tonight”, coincidenza? Baby posso stringerti? La voce profonda anticipa i miei pensieri. Si muove come chi conosce gli spazi.
“Forgive me is all that you can't say” “Dimenticami é tutto ciò che non riesci a dire. “ Strana sensazione, la ritrosia, strana, inquietante. Ogni decisione di attuare un’azione bloccata da un corto circuito fra i nervi. La tachicardia involontaria è un leggero calore sottocutaneo minano alla base tutte le certezze che fino allora mi avevano reso permeabile ai sentimenti. Lei mi emoziona. Flussi di pulsazioni, a ondate. La sensazione mi piace. Un calice di liquido ambrato mi si para davanti. !Words don't come easily” “Le parole non vengono facilmente”. Finalmente ho il coraggio di guardarla. Un sorriso beffardo accoglie la salita del mio sguardo e non da meno gli occhi mi deridono. “Maybe if I told you the right words” “Forse se ti dicessi le giuste parole” Questa Tracy mi sta inquietando. Ha le frasi adatte per il mio stato d’animo. “Ti ho cercato. Non è facile arrivare a te senza passare nelle maglie delle tue segretarie. Sei circondata da donne. Ne ho viste di tutti i tipi” Sentirla parlare di me suona stonato. La sua voce mi mette in fibrillazione. Finalmente la musica, eco nella sua anima, cede il passo al riff di un sintetizzatore. Ipnotico e limpido fa ruotare leggermente l’atmosfera per lasciare il posto a Brian Eno, By This River, note che mi tranquillizzano. Ecco, la colonna sonora è perfetta. La donna che voglio, che desidero è qui ed io mi trasformo nella moglie di Lot, una statua di sale. I suoi occhi sono i primi a prendere congedo e sbloccano la situazione. Concentrandosi sulla mia bocca fanno da viatico alla sua intenzione. Prende la mia testa fra le mani e con la punta della lingua va a fare un leggero sfioramento fra le labbra e le gengive, un messaggio chiaro di come e cosa quella lingua promette. Il duello che ne consegue è semplice distillato di piacere, i suoi seni mi premono addosso. Impazzisco al contatto. La seta della mia camicetta ne esalta la sofficità. Vuoto, per la prima volta ho il cervello vuoto. Le farfalle nella pancia! Ecco cosa cazzo intendevano quelle oche delle mie amiche da ragazzine. Ho le farfalle nella pancia! Una risata mi prende di colpo. Lei si allontana giusto per vedermi negli occhi e cercare di capire il perché di quella reazione. Tutto mi torna. Mi sono innamorata! Non sto impazzendo né perdendo la mia lucidità. Semplicemente sono innamorata! Che cazzata pazzesca. La afferro per mano, giusto per rimanere nell’ambito degli stereotipi e la porto in bagno. Ora è lei che mi segue docilmente. La mia meravigliosa vasca idromassaggio, ultimo ritrovato per il benessere da casa mi è costata una follia ma in questo momento non vorrei altro. Vedo la sua sorpresa di fronte all’immensa Jacuzzi, appena installata. Apro l’acqua e comincio a spogliarmi, non porto mai intimo per tanto la cosa è veloce mentre lei accarezza i bordi freddi della vasca. Si siede sul bordo e lentamente sfila l’abito maglia in un solo movimento. Anche lei non ha intimo. Dentro gli occhi vedo desiderio o forse è il mio che si riflette. Allungo la mano, ho paura di toccarla, poi al tatto il suo calore. Pelle morbida, viva e fremente. Ora è il mio turno. Il collo e la vena pulsante, che s’intravedono sotto il suo candore, m’indirizzano al punto preciso dove cominciare a esplorala. Le mie labbra cominciano a tracciare percorsi guidati dai palpiti, la sottigliezza del derma sulle labbra mi permette di seguirne il canale linfatico, fino a causarne lo spasmo. Concentricamente anche le mani dirigono ogni dito verso quel punto. Il contatto appena accennato ha reso ipersensibili i miei polpastrelli. Fra un solco e l’altro della pelle i ricettori si sono moltiplicati. L’esplosione è totale quando lei copre le mie mani con le sue. Lentamente scivoliamo nell’acqua . Altro stimolo, altre sensazioni, l’immersione dei nostri corpi e nei nostri corpi. La sua pelle e la mia al cospetto di Saffo.
“Tu, beata, sorridevi
nel tuo volto immortale

e mi chiedevi
del mio nuovo soffrire:
perché
di nuovo ti invocavo:
cosa mai desideravo
che avvenisse

al mio animo folle.”
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